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giovedì 14 luglio 2011

Ritorni.

I Tre Allegri Ragazzi Morti dal vivo al cimitero del Verano (detta a voce alta fa molto ridere), ieri l'altro. Sagra di paese, notte della Taranta quasi in centro a Roma. Con la differenza che anziché il trecentesimo concerto di pizzica, ti ritrovi ad ascoltare una delle realtà più longeve e cazzute del rock indipendente italiano. Vabbé, una sera c'è stato anche Califano, ma vuoi mettere?

Non ho neanche fatto in tempo a salutare villa Torlonia.

L'ultima volta che ho preso questo treno, le colline erano verdi. Adesso sono gialle, punteggiate da balle di fieno. Mi godo queste ore con Bobo Rondelli nelle orecchie, ogni tanto butto un occhio al ragazzone che la sorte ha fatto sedere pochi posti più in là (ne vale la pena) o alla coppia di francesi che sono belli e commoventi. Si tengono per mano, si abbracciano, lui le bacia gli zigomi. Apparecchiano per il pranzo. Sono così belli e commoventi che mi strappano un sorriso e mi fanno sopportare persino la logorrea della suora beneventana che ha deciso di alzare la glicemia a tutto il vagone, offrendo dolcetti a destra e a manca.

Non posso dirmi sopravvissuta, perché non lo sono; dunque, è perfettamente inutile che mi ci atteggi. Per potermi dire sopravvissuta dovrei aver vissuto, e vissuto molto: e questo, certo, non è il mio caso. Per di più, non torno mai sulle sacre sponde malvolentieri; ma comincio ad avvertire la sensazione di precarietà tipica dei fuorisede, che il tetto che in genere hanno sopra la testa non è casa loro, e quella che lo era una volta adesso non lo è più. Ma neanche questa è una sensazione definitiva: perfino la mia precarietà è in fieri.

L'ItaliaWave è finalmente ai nastri di partenza e io ho toccato il suolo patrio giusto in tempo, con tutte le buone intenzioni del caso. Ma le buone intenzioni non possono nulla contro tre ore di sonno, sei di treno e quaranta gradi all'ombra. Per oggi passerò la mano. Anche perché la giornata reggae non è esattamente il sogno di una vita.

Certo che è inconcepibile che debba pregare le persone per farle venire a concerti gratuiti.

Intanto mi tengo stretti gli incontri importanti. Le epifanie sopraggiunte, credete alle coincidenze? Io ho capito che ho bisogno di "pensare" quello che faccio, di ponderare, che è una bella parola perché ha dentro pondus, peso. Il peso giusto delle cose. Non posso ingurgitare concetti come fossero popcorn e aspettare semplicemente di vomitarli in faccia a qualcuno. Non faccio ingegneria, io. Devo interiorizzare quello che studio, e per interiorizzare ci vuole tempo. So che il tempo nell'era del multitasking e del web 2.0 è un'utopia, ma anche solo il prendere tempo nella mia vita è un'utopia. Ci proveremo.

Non sto dicendo che domani smetto di studiare, sto dicendo che, probabilmente, studierò diversamente. Altrimenti facevo meglio ad andare a ingegneria, almeno - forse - non mi sarei ritrovata sotto un ponte.

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